Il problema è rilevante dal punto di vista numerico, dato che in Italia si stima esistano circa 1.500.000 persone infettate da HCV (il virus è classificato in diversi “genotipi” numerati da 1 a 4, che sono in qualche modo diversi anche nella risposta alla terapia).
Sebbene molti soggetti con infezione da HCV fortunatamente non riceveranno nel corso della vita un danno epatico di rilievo, tuttavia una importante percentuale degli infetti necessita prima o poi di un trattamento per bloccare la progressione in epatite cronica attiva, che in tempi lunghi può condurre a cirrosi epatica.
Per valutare il nuovo scenario terapeutico, è bene riassumere quale sia il trattamento considerato “standard” fino a poche settimane fa.
Negli ultimi 15 anni la terapia dei pazienti con epatite da HCV si è basata sulla combinazione di interferone peghilato e di ribavirina, il primo somministrato per via iniettiva una volta ogni settimana, la ribavirina per via orale sotto forma di compresse da assumere quotidianamente.
Questo duplice trattamento è gravato da una serie di inconvenienti, così sintetizzabili:
- la durata va da un minimo di 6 mesi fino a 12 mesi, con una serie di effetti collaterali frequenti e rilevanti, che non raramente impongono la sospensione di uno o ambedue i farmaci.
- l’efficacia in termini di eradicazione definitiva dell’infezione da HCV non è elevata (solo intorno al 50 % di successo nei soggetti con genotipo 1, il più comune in Italia).
Dalla fine del 2012 si sono resi disponibili nel nostro Paese due farmaci somministrabili per via orale, il boceprevir e il telaprevir, attivi solo contro il genotipo 1 e da usare sempre in associazione con interferone e ribavirina. Purtroppo questi farmaci hanno avuto scarso successo, sia per la difficoltà di assunzione, sia per la occorrenza di effetti collaterali anche gravi.
Arriviamo quindi ai giorni attuali, in cui abbiamo finalmente la disponibilità di nuovi farmaci anti-HCV attivi per via orale.
Due sono già al momento disponibili (sofosbuvir e simeprevir) mentre per altri è imminente l’approvazione (ledipasvir, daclatasvir e altri ancora).
Cosa rende così innovativa e rivoluzionaria la terapia con questi farmaci? Ecco i punti salienti:
- Nella maggior parte dei casi possono essere usati in combinazione tra loro, tutti per via orale, senza necessità di associare il fastidioso interferone.
- Sono attivi (con limitate eccezioni) contro tutti i genotipi di HCV e raggiungono nei pazienti trattati percentuali di successo fino al 90-95%!
- Hanno pochi e lievi effetti collaterali, sono semplici da deglutire e vanno assunti per un periodo abbastanza breve, che va da 12 fino ad un massimo di 24 settimane.
Rispetto al recentissimo passato sembra quindi arrivata l’ora della sconfitta dell’epatite C.
Esiste tuttavia un gigantesco problema, che rende tutto più difficile.
Infatti tutti questi nuovi farmaci hanno una cosa in comune, un prezzo elevatissimo.
Dovendoli usare in combinazione e per periodi da 12 a 24 settimane, il costo del trattamento di un singolo paziente può raggiungere il costo di un piccolo appartamento! Calcolando che solo in Italia ci sono diverse centinaia di migliaia di pazienti necessitanti di trattamento, è facile calcolare un costo astronomico per le finanze statali.
Si pone quindi un dilemma etico: trattare tutti i pazienti HCV con i costosissimi farmaci, magari sottraendo finanziamenti ad altre forme di assistenza sanitaria? Oppure negare un efficace trattamento solo sulla base della eccessiva onerosità?
In Italia si è al momento scelto un compromesso. Saranno trattati con i nuovi farmaci solo i pazienti con epatite C in fase più avanzata, in base ad un dettagliato protocollo emanato dal Ministero della Salute. Per evitare possibili difformità di applicazione, le singole regioni stanno identificando un numero molto ristretto di centri specialistici abilitati a erogare e gestire i nuovi farmaci.
Si ipotizza che con il passare del tempo il costo dei farmaci sarà gradualmente ridotto dalle varie aziende produttrici (anche per fenomeni di concorrenza) e in tal modo sarà più agevole trattare anche i pazienti con forme meno avanzate di epatite C.